Gli Orti di San Pietro in Silki

regina margherita

GLI ORTI DI SAN PIETRO IN SILKI

LA SEDE, IL PARCO URBANO E LA SUA STORIA

Per risalire alla nascita del villaggio di Silki, sito in cui è nata e tuttora risiede la sede della Casa di Riposo Regina Margherita,
bisogna risalire alla fondazione della chiesa adiacente e in origine annessa a un’abazia di Benedettine, compresa tra gli anni 1065 e 1082, stando al Libellus Judicum Turritanorum. Le testimonianze sul complesso monastico di Silki tra l’XI e il XIII secolo derivano dal Condaghe di San Pietro di Silki , documento redatto nel monastero.

L’edificio venne riedificato in stile romanico nel XIII secolo, e a quest’epoca risalgono le poche parti della chiesa risparmiate dalle successive riedificazioni, effettuate tra il XV e il XVII secolo. Ufficialmente il monastero di Silki passò ai francescani (nello specifico i frati minori osservanti) nel 1467, concesso loro dall’arcivescovo Antonio Cano e dalle autorità cittadine. Nella sua In Sardiniae Chorographiam del 1585-90, il Fara descrive il convento di San Pietro di Silki nunc amplissimum , segno che era stato avviato il suo processo di ampliamento. Nella prima metà del secolo scorso il complesso ha avuto diversi lavori di ampliamento.  Il complesso di San Pietro in Silki si trova nel centro abitato di Sassari, all’interno del quartiere di San Pietro-Piandanna che sancisce le cinta urbane della città. A poche centinaia di metri sorge l’area ospedaliera cittadina e il polo dell’Università di Medicina.

Il complesso, da un punto di vista paesaggistico, si incastona preziosamente all’interno del giardino e dei famosi succitati orti di San Pietro, un’area verde di proprietà della Casa di Riposo, che si estende per circa 9 ettari. L’area, delimitata da un muro di cinta storico e organizzata mediante  terrazzamenti a secco, comprende un vasto uliveto di circa 2 ettari, orti, vigneti, agrumeti, ed alcuni mirti secolari, citati da A. La Marmora nel XIX secolo; fonti cinquecentesche parlano già del resto di hortos  amoenissimos presso il convento.  All’interno si trovano elementi di notevole valore storico e ambientale, come il Viale dei Lecci, la Dragonara del Duca, la sorgente di Villa Silki, l’oratorio della Madonnina, la Casa del Duca dell’Asinara (fine XVIII-XIX secolo), ormai diroccata. In particolare sono famosi i suoi lecci e i suoi mirti secolari. Un vasto sistema di irrigazione di grande portata e notevole interesse storico, con canali, vasche, sorgenti scavate nella roccia, strutture in muratura, alimenta tutta l’area. Questa struttura, ancora oggi utilizzata, è molto antica, poiché si basa su un impianto medievale, creato dai monaci forse utilizzando un acquedotto romano preesistente. Recenti ricerche archeologiche hanno scoperto nella zona sud dei Giardini reperti di insediamenti romani e medievali: sono forse resti del villaggio di Silki, citato da documenti storici dagli inizi del XII secolo e fino ai primi anni del XIV.

I mirti e i lecci secolari sono di particolare interesse botanico per le loro dimensioni non comuni e per la loro età: a questo hanno contribuito la fertilità del terreno, un microclima particolarmente favorevole e l’abbondante disponibilità di acqua irrigua. I Lecci secolari furono piantati su iniziativa di padre Dimas Serpi, Superiore del Convento di San Pietro in Silki nel 1594, creando un imponente viale che porta al frutteto. I Mirti di San Pietro sono citati da Antoine-Claude Pasquin “Valery” (1789-1847) nella sua opera “Voyages en Corse, à l’île d’Elbe et en Sardaigne“: Tre mirti enormi formavano da soli un fitto boschetto. Il mirto, in Sardegna, non è affatto quell’alberello gracile, frivolo, voluttuoso dei nostri climi nordici, ma un potente vegetale che raggiunge una grossezza straordinaria. 

Ancora oggi la struttura agronomica continua a presentare le caratteristiche del sistema di una grande proprietà terriera dei monasteri benedettini. L’intero complesso, anche grazie alla presenza di quest’area agricola che lo circonda, non può che favorire la realizzazione di attività e progetti volti al coinvolgimento della cittadinanza e alla fruizione della stessa di questo patrimonio paesaggistico che rappresa a tutti gli effetti un “bene comune”.